giovedì 23 dicembre 2010

Odio.

Io lo odio veramente. Non sono solo le mani che si muovono freneticamente immaginando la sua gola, non è solo il sangue che affluisce torrente nelle mie tempie; così sarebbe rabbia, rabbia soltanto. No, è molto peggio; è un sentimento che cresce nel petto, lento, che apre le costole come fossero fatte di burro e sale. E' il cervello che spento smette di reagire, una lama trafigge le meningi, liquido che si riversa putrido nel mio cranio; è voglia di vederlo morto. Ma la ragione ovviamente impone il rispetto per la vita umana, ovviamente allontana anche solo la possibilità di un'azione lenitiva, anche solo di un graffio. C'è chi direbbe di essere troppo signore per alzare le mani, io no, sono solo troppo fiero della mia intelligenza; però poi, qui, mentre rielaboro, la mia carne riassorbe il veleno, in toto, completo. E fa male, dio se fa male.

venerdì 10 dicembre 2010

Non c'è Ford nel mio futuro.

Le note di una ballata strana accompagnano le mie riflessioni che si adagiano, piano, sul fondo di una bottiglia mezza vuota, o mezza piena, o come vi pare. Le guardo, le lettere scintillano chiare mentre scendono lungo il vetro opaco, ma poi si confondono, si mischiano, diventano una pozza melmosa d'inchiostro e di birra. S'appiccica agli occhi, è colla e mi stranisce, ma non importa: devo tornare ai miei pensieri; magari se non ci penso o penso ad altro o penso di pensare a nulla o ad altro mi passerà questa nausea che mi percorre come un brivido la schiena risalendo fino al cervello. Spegnerlo, devo spegnerlo. Ma se lo spengo torna il fango della bottiglia e non lo voglio; o forse si. O forse si e no nello stesso tempo, mah, proprio non lo so più. E Ford? E lui non ha nessun significato, esattamente come quello che scrivo ora. Non c'è catena di montaggio nel mio pensiero.

martedì 30 novembre 2010

400mila anime in movimento.

Corpi, menti, voci. Parole che aprono l'aria come fossero coltelli, idee come lampi che illuminano il cielo d'Italia.
Sono ore di sangue che bolle nelle carotidi, nuovo ossigeno a polmoni che avevano smesso di respirare. Carta e inchiostro in mano al futuro di un paese che futuro non ne vuole, ora tocca a noi, solo a noi.
Voi avete le domande, i giovani sono le risposte.


RESISTENZA.

lunedì 29 novembre 2010

L'universo non dorme mai

Torpore mattutino... non è nient'altro. Il calore tiepido del caffè appena fatto, i pensieri che si espandono nella mente raggrinzita dal sonno, che stenta ad abbandonarmi; le mani incerte che raccontano la percezione indefinita di una realtà che non ha dormito; il mondo non ha sonno, l'universo non dorme mai.
L'acqua che scorre lenta sulla pelle delle mie braccia, le gocce sul mio capo; l'aria fredda e il fumo che lento esplode dai miei polmoni si mescolano in un indefinito gioco d'abbracci, senza fondersi mai del tutto, senza diventare mai una cosa sola.
Io e il mio universo siamo così, fusi e distinti insieme, nel dormiveglia che mi accompagna ancora per qualche minuto, per qualche istante almeno.
E poi? E poi io mi sveglio completamente; ritorno io, solo io, diverso dal resto, differente in ogni mia parte dalla realtà che mi circonda, altro da ciò che ero solo un momento fa.
Ero tutto e ora sono solo uno, troppo sveglio per il mio universo che fonde, nel calore del mio caffè. Troppo sveglio per il mio universo che non dorme mai.

domenica 28 novembre 2010

E' noioso.

A volte guardo la mia vita e non penso a nulla, nulla di veramente importante; guardo i momenti salienti del talk show della mia esistenza, osservo le baruffe, i litigi, i pianti: ed è tutto così noioso, monotono all'inverosimile.
Le vite d'altri sono così strane, così poco uguali alla mia, che sembrano tutte provenire da un universo diverso da quel buco freddo e privo d'aria in cui vivo io. Eppure sembrano qui, sembra che s'intersechino con la mia vita continuamente, senza però lasciare nulla di sostanziale alla fine di ogni mia giornata; quasi come non ci fossero state, o non ci fossi stato io.
In realtà, mi dicono, non c'è tutta la differenza che percepisco, siamo tutti imprigionati nelle stesse gabbie putride del tempo perso, senza possibilità d'uscita; ma a me da fuori, ad essere sincero, non sembra tutto così affine. A me non viene da ridere ora, mentre voi ridete per fatti vostri, a me non viene da piangere mentre voi soffrite; così come voi non ridete e non piangete, quando rido e piango io.
Dov'è allora la somiglianza che mi raccontate sicuri? Io non la vedo, non la vedo affatto; e quindi torno in me, dove tutto è così noioso.

sabato 27 novembre 2010

Sceglie da solo

Perde d'intensità, non riesco a fermarlo.
Il mio sguardo vaga nella nebbia e
a volte senza motivo, ad un tratto,
da solo,
perde d'intensità.

Sono sicuro, non è la nebbia spessa,
né la foschia che avvolge le mani
e i pensieri: è lui, è lui che sceglie,
da solo,
e ora... ora decide di morire.

Le ombre pesanti avanzano lente,
o meglio è luce che va via
da quel che vedo; è buio, e si sente.
Sono da solo,
e l'oscuro non è mio amico.

No, non lo è affatto.

domenica 24 ottobre 2010

Guardando la mia luna.

ispirazione e luce
ubriacano ogni senso; penso
e non sento niente di quel che vedo,
non è nulla sulla mia pelle.
è luce che si disperde
fra le nuvole;
parole piene di foglie sporche
e di canzoni morte.

ispirazione e luce
sono ubriaco in ogni senso;
penso e non vedo nulla
di quel che ascolto;
acqua che asciuga il mio volto,
non capisco il peso
del macigno che inarca
la mia schiena; carico
del mio pensiero
guardo la mia luna e scrivo.

scrivo molto,
ma molto non è qui;
è altrove nella mia mente
e si sente
nello stomaco e nella gola,
che urla alle mie stelle
quella parola che ancora una volta
non vale niente.

ordine, la mia luna
ridona un ordine al mio mondo;
sordo a quel che dice
continuo nel flusso ininterrotto
di quel che viene fuori
senza controllo, nel buio
più completo; riperto
ispirazione e luce
guardando la mia luna.

venerdì 22 ottobre 2010

Pazzi.

Essere folli è come essere liberi, dicono. Essere pazzi vuol dire non avere limiti, non portare sulle spalle il fardello del tempo e dello spazio, della vecchiaia e della consapevolezza, dicono; e io sono d'accordo, oh si, sostanzialmente mi trovo d'accordo.
Ma perché nessuno vuole essere folle allora? Perché nessuno impazzisce volontariamente, così, da un momento all'altro? Io non me lo spiego, non riesco a trovare una valida scusa; eppure anch'io sono ancora in parte una persona normale, se questa è la definizione che vogliamo dare. Per quale motivo? E' evidente che questi limiti ci sono cari, che non vogliamo perderli, che tale fardello è un piacevole peso su delle spalle dolenti di cui è piacevole lamentarsi, specie quando non si ha nulla da raccontare; evidentemente non è poi così male essere "normali", sempre ammettendo la possibilità di un'esistenza normale.
E allora tutta questa invidia che senso ha, mi chiedo. Perché dire di volere qualcosa quando qualcosa non la si vuole, come fanno i bambini in preda a un capriccio? Noi non siamo bambini, lo sanno tutti che i bambini sono pazzi; o semplicemente liberi. No, noi non siamo così, siamo qualcos'altro, qualcosa di diverso dalla pazzia; forse è possibile che siamo diventati i limiti che tanto amiamo, pur odiandoli; forse siamo la stessa cosa che ci impedisce di essere pazzi, pur desiderando esserlo.
Oppure mi sbaglio e siamo tutti bambini; e non è un bene, fidatevi.
Perché se siamo tutti bambini, allora la libertà è solo un capriccio.

venerdì 1 ottobre 2010

Ancora Noia

Momenti di noia, lame spuntate
grondanti il mio sangue amaro;
trafiggono il cranio, la pelle, le ossa:
dilaniato dalla noia, così io morirò.

E' scritto, è scritto ovunque;
nelle foglie, nelle mani,
nelle parole che viscide nuotano
nell'aria che respiro, ogni giorno.

E' noia, è un sentimento antico;
di pane e di miele io morirò.

giovedì 23 settembre 2010

La sua arma più forte è comprarti. [cit.]

Qual'è il tuo prezzo, dov'è il tuo cartellino? Su, dimmelo in fretta, saprò valutarti per quel che sei e che sei stato. Non dire che vali più d'ogni denaro, non dirmi che non sapresti venderti al peggior offerente, mentiresti a te stesso e a me; sei una merce, un articolo da negozio, così come io sono mercante di vite.
Il tuo pensiero è ciò che m'interessa, potrei offrirti tutto: dimmi quanto vuoi per la tua libertà, posso comperarla. Ho oro a sufficienza per la tua coscienza, per i tuoi ricordi, per il tuo tempo, per la tua anima se ancora non l'hai svenduta. Voglio il tuo tempo, la tua infanzia, voglio il tuo sorriso; ho un conto illimitato, credo possa bastare; dammi le tue idee, i tuoi desideri, la tua vecchiaia.
La mia è un'offerta conveniente, pensaci bene: tanto cosa te ne fai oramai, in questo posto? Potrai comprare ciò che vuoi, avrai il tuo mondo inginocchiato ai tuoi luridi piedi, sarai il re del tuo universo di cose e di persone inutili, gente uguale a te; mi bastano solo i tuoi passi, le tue carezze che hai dimenticato di dare, i tuoi baci rubati alle stelle e al vischio; dai, vendimi la tua luna.
Ti darò una cifra che non saprai rifiutare, rifletti prima di dirmi che non sei interessato: vendimi le tue cicatrici, il sangue versato, dammi le tue lacrime, gli schiaffi che hai ricevuto e che non hai mai dato.
Sono ricco e voglio tutto di te, ogni singola parte, anche la più insignificante; tutto tranne la dignità, quella di essere umano, quella che ti rende veramente vivo: mi spiace, ma non l'hai mai avuta.

martedì 21 settembre 2010

Coscienza e conoscenza, è solo un'immagine.

La polvere appesantisce le palpebre, il sonno nelle mani impedisce di scavare più a fondo di un misero strato di vita.
Scivola lenta fra le dita l'acqua dei pensieri, nel torrente torbido degli attimi del tempo sepolto; ricordi fragili che s'infrangono contro il muro del silenzio di ghisa, senza valore, senza verità.
Il freddo giorno che corre lungo il raggio storto del mio sole si conclude nella noia della sua penombra, muore nella quotidianità della sua stessa essenza; eppure c'è qualcosa di nuovo ora, ora che si spegne, come sempre nel suo ciclo d'accecante tenebra.
La singolarità del momento mutato, la dolce melodia dei suoi vagiti, il cullare calmo di un oceano di note squarciano il velo della monotona pace della tranquillità, lanciano dal cielo getti di nubi dure come marmo.
La mia mente allora si apre, i cardini urlano il canto gutturale del loro dolore; è nuova luce, piena di calore, piena di vecchie e bellissime parole.
Sono coscienza e conoscenza che germinano nel grembo del mio cranio; è solo un'immagine.

mercoledì 15 settembre 2010

Nostalgia

Perché sono così e, in fondo, non potrebbero essere altrimenti: sono solo fitte fitte al basso ventre che scandiscono il ritmo del tempo che passo qui, nella mia Babele.
Intricate sensazioni, radici profonde che scavano nella terra umida dei miei pensieri, lampi di genio nell'idiozia quotidiana; sono luci e ombre di anime lontane, di chiacchiere morte, di respiri vuoti fluttuanti nel mare tenero della tenebra post caffè.
Non nascono dal nulla, non rigenerano spontanee come erbaccia da estirpare; me le suggerisce l'innocuo dormiveglia, la noia improvvisa, un soffio di vento leggero, il sole che brucia il capo: tutto ciò che, pur rimanendo speculare a prima nella forma, è mutato nella sua essenza, poiché l'apparenza sorda ha smesso d'ingannarmi, la sua voce sirena non mi convince più.
E io cado, cado dalla mia torre di Babele, precipito lento da lì dove parlo e nessuno capisce, da dove tutti raccontano storie che solo la brezza avrà modo d'udire e solo gli alberi modo di raccontare.

sabato 14 agosto 2010

Perché domani sarà meglio.

E' solo questione di ottica. L'ho sempre ritenuta il fulcro della realtà e, ora che veramente vedo il cambiamento, non faccio che convincermi sempre più di aver avuto ragione fin dall'inizio: una buona vista è tutto nella vita dell'uomo. Ma sì, un occhio ben allenato e in piena forma è meglio del guercio che non vede, meglio dello sfuocato che non distingue, meglio di chi vede solo da troppo vicino o solo da troppo lontano: è un po' come i punti di vista. Sono sempre troppi rispetto a un fatto univoco e spesso decontestualizzano o depauperano di significato l'evento in quanto tale; ma sono impossibili da eliminare perché, vuoi o non vuoi, se conosci qualcosa te ne fai un'opinione. E come per la vista, anche il punto di vista cambia in base all'allenamento, cambia in base alle convinzioni e alle informazioni, cambia in base alla persona: c'è chi guarda troppo da vicino un accadimento e ne vede solo il particolare, c'è chi lo ignora completamente, non vedendolo; c'è chi lo guarda a distanza e lo vede nel complesso, ma si priva del piacere di sfiorarlo. Infine c'è chi lo guarda bene, lo guarda al meglio, ne racconta ciò che impara ma non viene mai creduto: in un popolo di ciechi chi ha un occhio solo non è re, è pazzo, perché racconta ciò che gli altri non possono vedere. Ma non è necessario curarsi dell'essere considerati pazzi, la normalità è il freno tirato all'intelletto, lo sappiamo bene tutti noi: è solo un punto di vista, un'insignificante opinione, un macigno sulla nostra testa però. Domani potrebbe essere peggio, ma io lo vedo al meglio, splendente come non mai; l'ho detto e lo ripeto, è questione di ottica.

venerdì 23 luglio 2010

Alla mia Luna.

Osservo; e il divenire diventa statico.

La tua luce, che mi rese dinamico, muore
nelle pupille fragili della Dea dell'arenaria;
clessidra ferma e chimera del mio cuore
un attimo solo, mentre mi nutro della tua aria.

Momenti immobili, onde ferme dell'anima
mentre crepita il battito, lento nella sua smania,
di parole di miele, acqua e zucchero; s'appiana.

S'appiana il mondo nel suo orizzonte, il cielo,
le stelle che ancora guardano un bacio rubato;
lampi di sabbia nei miei occhi stanchi sono il gelo
che congela il sale delle lacrime di un pianto antico.

Osservo; e il divenire ritorna statico.

L.N.

giovedì 22 luglio 2010

La mia memoria

La gente mi parla spesso e, a volte, mi capita anche di ascoltare.
Mi conducono nei loro ricordi, mi tendono la mano per poter camminare fra immagini di vite che mai mi apparterranno, che non mi sono mai appartenute. Navigo lento nel mare limpido della loro memoria, mi nutro affamato di nomi e di date che non conosco, che mi sfiorano soltanto.
Sento le voci polverose di antiche chiacchiere portate via dal vento, vedo il sudore su fronti che il mio stesso sole non ha mai baciato; io vivo le loro vite, ora, nel momento in cui qualcuno me le racconta.
E poi muoio, fra le pieghe delle labbra di un discorso muto che volge al termine.
Io? Io non racconto, non racconto mai.
Ho problemi di memoria a lungo termine; e me ne dispiaccio.

venerdì 16 luglio 2010

Caldo umido.

Un manto denso avvolge le mie mani mentre scrivo queste parole; perle di sudore sulla mia fronte, gli occhi si chiudono e il solco delle lacrime amare dei giorni andati si riempie di nuovo sale.
Un altro passo della mia vita, un altro momento dimenticato fra gli anni passati della giovinezza più pura e quelli ancora venuti della maturità più piena: e cammino, una corsa in folle dove solo la gravità conduce il mio moto lungo la discesa. Non uno schianto, non un momento di pausa; le gambe cedono, il respiro affannoso non restituisce ossigeno a queste membra lacerate dalla lama del vento e del tempo perso.
Non posso guardarmi indietro, ma non ho nemmeno possibilità di guardare innanzi; non sono che un attimo della mia vita, un momento dell'appiccicoso divenire dei processi vitali che con costanza nutrono il mio corpo.
Io sono l'aria che respiro in questo momento, sono la pelle delle mie mani.
Io sono il caldo umido che ora mi avvolge.

domenica 20 giugno 2010

Donami il sonno delle tue note

Appaga il mare mosso, il vento freddo che sconvolge il mio animo inquieto, rimanda a tempi antichi la conoscenza di questa vita vuota. Musica, canta per me, lenta, la tua melodia soffusa... fammi riposare fra le tue acque chiare, donami il sonno delle tue note.
Riscalda il gelo di queste ossa, rendi a me il tepore delle tue parole, fa che io possa dormire fra i tuoi suoni lenti. Accarezza i miei capelli, le tue dita oltre la nebbia dei miei pensieri... fammi stendere sul tuo corpo lieve, donami il sonno delle tue note.
Ti prego; ti scongiuro musica sacra, donami il sonno, il sonno della tua pace.

lunedì 14 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 4)

Spesi parecchio tempo a girare per questa città ignota senza preoccuparmi di dove stessi andando; non potevo perdermi, non avevo un punto di partenza né una meta, così mi ritrovai a girovagare per tutto il pomeriggio in cerca di qualcosa, di cui sempre più mi convincevo non ci fosse traccia in quel posto. Era strana come sensazione: sentivo che era un passo importante, anche se non riuscivo bene a capire il perchè; era come se ne sentissi il bisogno, oltre al bisogno materiale ovviamente, come una forza che percepivo fondamentale per il mio continuare ad esserci in questo mondo.
Intanto il sole urlava il suo declino e la notte proclamava la sua vittoria con le prime stelle, superbe della loro luce, senza aspettare che l'astro diurno morisse con dignità. In quello scontro fatale le mie forze erano divenute vittime bianche del conflitto, e mi abbandonai sulla prima panchina che mi si parò davanti, in un luogo che quasi mi sembrava familiare, tanto ero stanco.
In realtà non mi ero allontanato da quel parco in cui avevo pranzato, era tutto il giorno che giravo in tondo e, anche se non potevo saperlo, mi ero sdraiato proprio sulla panchina su cui avevo consumato il mio pasto qualche ora prima. Ma non era importante saperlo, né avrebbe potuto cambiare qualcosa: ora che le tenebre vincevano sulla luce e il sonno trionfava sulla veglia, quel freddo legno così poco accogliente era più che soddisfacente per il mio corpo al limite.
Gli ultimi barlumi di lucidità però mi consentivano ancora di stilare un resoconto più o meno dettagliato della giornata appena volta al termine, che risultava comunque non del tutto improduttiva; nell'arco di una rotazione terrestre la mia vita risultava ribaltata, ancora piuttosto indefinita e da organizzare ovviamente, ma sicuramente molto diversa da come era fino a 24 ore prima. E questa consapevolezza, questo rendermi conto di essere diventato il reale fautore del mio destino, era accompagnata da una sensazione d'inebriante potenza che quasi mi fece passare il sonno. Ero riuscito a svincolarmi dalle catene del passato e avevo allentato la stretta alla cinghia natia che portavo al ventre; forse stavo andando incontro al mio declino, come un sole al suo ultimo tramonto, o forse no. A dire il vero non m'importava, ne avevo la forza adesso per poter tornare indietro e riappropriarmi delle radici che con tanta fatica avevo reciso.
Il sole era scomparso dietro le case e il buio ora cullava i miei sensi; al ritmo di battito lento, sentivo i muscoli rilassarsi, le palpebre calare, la mente offuscarsi. Dicono che dormire sia una delle attività preferite dal genere umano; non so se sia vero, ma quello, vuoi il freddo, la scomodità del legno, o gli accadimenti ultimi della mia vita, fu il sonno più spiacevole di tutta la mia esistenza.
Sognai quella notte, sogni irrequieti d'irrequieto dormire, e probabilmente proprio per questo motivo non riuscii a fissarli nella mente quando mi svegliai. Il sole era appena sorto e i suoi raggi ancora privi di calore illuminavano spavaldi la mia carcassa sdraiata su quel giaciglio ligneo, lo stesso che era stato tanto avverso al mio riposo così desiderato. In pratica ripresi i sensi anche più stanco di quando li persi; eppure non me ne potevo e non volevo lamentare. Seppur il mio corpo gridava con forza il suo bisogno d'un materasso, pur potendomi accontentare in quel momento anche di un cumulo di fieno, la mia mente sembrava risorta a nuova vita. In essa si diramava un intricato e forse poco razionale, data l'ora del mattino, piano d'azione, il quale m'avrebbe portato ad un miglioramento netto rispetto alla situazione in cui mi trovavo.

domenica 13 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 3)

Di fronte a me si presentava orgoglioso un lungo viale alberato, ma della vitalità di cui solitamente brulicano questi luoghi, in realtà non ve n'era un granchè; a dir la verità non ne rimaneva molta neanche negl'alberi stessi. L'autunno si era fatto sentire con tutta la sua forza in quei giorni, ed evidentemente quelle povere piante non dovevano aver retto il duro colpo, dato lo stato in cui si trovavano.
Rami un tempo rigogliosi e pieni di vita ora erano solo sottili fili nella trama del vento gelido, e poche foglie raminghe ancora resistevano in quei deserti di legno. Non era uno spettacolo particolarmente gratificante, ma non ci feci caso in un primo momento, lo stomaco reclamava tutta la mia attenzione e io non ero in grado di negargliela. Come un animale nato dal niente, la mia mente ora focalizzava tutta la sua attenzione sul vuoto fastidioso che assediava la mia pancia, mi spingeva a camminare, intontito dalla fame, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Ed ecco la visione: 100 metri più in la, circondato da un'aurea luce, il mio punto di ristoro, la cosa che ora mi interessava di più e senza la quale sentivo di non essere completo; un negozio di alimentari. In realtà nn era che una squallida bottega malconcia seminascosta fra i palazzi, ma il bisogno la rendeva irresistibile ai miei occhi. Un passo, due passi, tre passi; la distanza aumentava allo stesso ritmo del brontolio che avvertivo nelle viscere ed era insopportabile il pensiero che tutto il ben di dio conservato in quei scaffali non era ancora mio. Ma in secondo tutto si era dissolto; il bisogno, la fame, il camminare non esistevano più: ero arrivato di fronte alla vetrina, e quella visione eterea fatta di cibarie soggiogava i miei sensi.
Ritornato alla realtà, ancora stordito dal torpore in cui ero caduto, con mano incerta aprii la porta, quasi dovessi entrare in un luogo arcano e proibito. Inspiravo profondamente; un odore di salumi e formaggio inebriava il mio olfatto; in quel banchetto di sapori i miei sensi ci sguazzavano abbastanza felicemente. Avevo bisogno di mangiare, e tutto ciò che mi serviva era a portata di mano in quel momento; ma in pochi attimi mi ero reso conto che in realtà ben poche cose erano a portata di portafoglio. Acquistai comunque qualche pacchetto di patatine, quelle che costavano di meno ovviamente, e una bottiglia d'acqua. Era un pranzo un po' povero, di certo niente a che vedere con quelli a cui ero abituato, ma mi sembrava un convito così abbondante da poterci narrare leggende a riguardo; la fame fa brutti scherzi a volte.
Mi ero seduto sulla panchina vicino al negozio e consumavo felicemente il mio pasto; spenta la voracità famelica, cominciai a riflettere sul come organizzarmi per poter sopravvivere. La prima tappa del mio corso di sopravvivenza era appena terminata: avevo sfamato il mio corpo, ridato vita ai miei processi biologici, ora avevo bisogno di una fonte di guadagno che mi permettesse di continuare a soddisfarli e di un posto dove poter recuperare le mie energie. Sapevo che almeno per quella notte avrei dormito sotto una coperta di stelle, nuvole permettendo, ma il lavoro non era un problema insormontabile; so che lo sfruttamento del bisogno, come del bisognoso, è una caratteristica riprovevole dell'animo umano, ma ora ero più che felice di farmi sfruttare, pur di avere un reddito che mi permettesse di esistere, e possibilmente resistere all'inverno che si prospettava feroce, visto il freddo che già avvertivo allora.
Continuai il mio peregrinare fra i palazzi sconosciuti alla ricerca di una locandina che richiamasse la mia attenzione; non mi importava di che impiego si trattasse, ora volevo solo impegnarmi in qualcosa di nuovo, nuovo per me almeno.

venerdì 11 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 2)

Il primo giorno in cui sono arrivato in questa foresta di case, devo ammettere che non mi aspettavo di trovarla così poco accogliente. M'ero fatto un'idea sbagliata della mia prima sensazione, in fondo speravo si trattasse di stupore o al massimo di spaesamento.
Avevo costruito una fortezza d'illusione che a definirla dorata sarebbe un delitto: il sole splendente, la brezza che accarezza il mio volto, sorrisi e fiori ovunque. Avevo avuto troppo tempo nel treno per immaginare ed ero arrivato alla conclusione che il mio viaggio sarebbe terminato con l'approdo a un paradiso terrestre, tra nubi dorate e canti soavi. Maledetta la mia fervida fantasia, sarebbe stata un po' meno amara la mia reazione. Quel che mi ritrovai davanti non era che l'esatta riproduzione di uno squallidissimo purgatorio, del paradiso ovviamente non v'era ombra alcuna. Era tutto così normale, troppo normale rispetto allo straordinario che mi ero figurato. La delusione non l'avevo presa in considerazione affatto nel mio peregrinare fantasioso, e ora bruciava più che mai. Tornavo con la mente alla mia casa, al mio giardino, al paese che avevo abbandonato, alla realtà che avevo deciso di lasciare per rincorrere quel sogno di libertà che avevo costruito intorno al barlume della mia maturità appena sbocciata.
Ma durò poco in realtà, molto meno di quanto si possa immaginare; il mio pensiero si rifiutava di concepire lo sbaglio, o perlomeno la discesa nel baratro del diverso, e scandagliava ogni singolo particolare di quel triste spettacolo che mi si parava davanti per trovare un solo elemento di rivalsa, positivo in qualche modo. E alla fine, deluso, si raggomitolava su se stesso, e finalmente mi lasciava camminare.
Il primo passo è sempre il più importante, ma giuro che quella volta era anche più difficile del solito. La forza repulsiva che mi aveva spinto fin qui ora era scomparsa, toccava a me muovere i passi della nuova vita. Avevo bisogno di un posto dove stare, avevo bisogno di mangiare, bere, dormire... insomma tutte cose che mi avrebbero permesso di restare in vita; poi le mie finanze ormai tendevano ad un rosso allarmante, e tranne per la mancanza della scritta pericolo sul portafoglio, non avevano nulla da invidiare ad una situazione d'emergenza. Non mi lamentavo del mio misero bagaglio: qualche vestito e pochi spiccioli non saranno una fortuna, però per ora mi bastava sapere che potevo sopravvivere con le mie sole forze. Ma ero anche tanto consapevole quanto rassegnato che mi sarei dovuto trovare in ogni caso una sistemazione, possibilmente anche un lavoro, o un semplice qualcosa da fare per poter occupare il mio tempo. La noia uccide da queste parti, e una morte così banale non l'avrei sicuramente sopportata.
Mosso il primo passo comunque, il resto era relativamente semplice; mi ero sempre saputo adattare alle nuove situazioni, e quella in fondo non era che la prima fase del corso di sopravvivenza a cui avevo involontariamente dato vita.

giovedì 10 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 1)

La piccola città di Trimo ora ferve di movimento, come in ogni fresco pomeriggio d'autunno. Qui le macchine corrono come topi in un labirinto, spinte dalla forza invisibile della fretta; le persone non guardano dove camminano, o almeno non se ne curano, sicure che dove vanno c'è la vita ad aspettarli. E io, come loro, non posso fermarmi, ho il destino a tre minuti da qui. Le foglie ingiallite dal tempo che passa non lasciano scampo ai pensieri nostalgici di un'estate passata al mare: c'è ancora salsedine nell'aria, eppure il freddo già gela le ossa.
Mi presento, sono Francesco, giovane di una generazione nata anziana, nuovo cittadino di una città nuova. L'asfalto bagnato emana uno strano odore quando si asciuga al sole, le mie narici ne sono piene; i muri delle case sfrecciano veloci di fianco a me, una giostra di colori e di vetrine. Il passo si allunga, la fretta ha trovato in me la sua nuova vittima, è un appuntamento a cui non posso mancare. Mi guardo intorno mentre penso a cosa dovrò dire al colloquio. Sono solo in questo momento, è così che deve essere, perchè solo il vento freddo può farmi compagnia nella mia giungla umana.
Non è da tanto che sono arrivato, in fondo quattro settimane non sono un tempo reale, ma solo il tempo che mi è stato necessario a realizzare che veramente mi sono trasferito. E' il passaggio tra l'adolescenza e la prima maturità che forse mi ha confuso: ma il cambiamento era necessario, dovevo allontanarmi dal luogo natio, tanto amato. Mamma ancora piange, le sento sulla mia pelle le sue lacrime. Ma non mi pento di ciò che ho fatto; avevo bisogno di quest'altra aria, di quest'altro ossigeno per la mia vita imbalsamata, di nuova energia al mio corpo stanco. E intanto continuo a camminare, anche se la mia meta, quel luogo in cui so di sentirmi così poco a mio agio, non sembra avvicinarsi con la stessa celerità del mio passo. Sarà che penso, ed il tempo non passa; sarà che osservo, e le immagini rallentano il deflusso dei secondi nella mia mente; sarà che in fondo non voglio avere quest'opportunità. E' un istante, e mi rendo conto che il volto riflesso nella pozzanghera non richiama quella felicità in cui tanto speravo: il sorriso spento sulla mie labbra è grigio, ed è pallido lo sguardo vuotato della vita in cui si riflettono i miei occhi. So che non la voglio questa nuova realtà, non mi appartiene; ma sono consapevole di averne bisogno, ed è solo per questo che continuo a camminare.

martedì 8 giugno 2010

L'altra parte della luna nuova

Sono lontano, lontano da ciò che fin'ora era stato essenza fondamentale della mia esistenza.
Sempre più mi soffermo a riflettere su ciò che è stato, non della mia persona, bensì della vita altrui.
Ho vent'anni o giù di lì e la mia consapevolezza, incastonata nella parete porosa dei miei ricordi, non risale che a qualche attimo fa, o poco prima... oltre il muro, oltre questa parete, c'è solo oblio, qualche flash di pensieri antichi.
Ma null'altro, niente che possa dirmi o confermare la mia presenza in questo mondo di nebbie e ombre, nulla che mi racconti di ciò che è stato e non sarà mai più.
C'è chi aveva vent'anni, vent'anni fa; c'era chi soffriva, quaranta anni prima che io nascessi, c'era chi amava solo un secolo prima che io respirassi.
E loro? La loro vita va ben oltre il mio tempo, i loro pensieri sono altrove, nel passato, molto prima che io pensassi, dall'altra parte della luna piena.
Questo; il loro passato, il mio presente, il tuo futuro... è altro da me e da te e da noi.
Questo è l'altra parte della luna nuova.

lunedì 31 maggio 2010

Sole malato: flusso nato dal niente (Aspettando la nuova alba)

F: sole malato
L: malato d'aria e di nubi, malato di vento caldo.
F: malato di quell'umidità che ti penetra nelle ossa fino a farle marcire
L: malato dell'odore acre dei fiori bruciati dal suo calore, malato della sua stessa vita
F: dal rumore di una perdita nel soffitto, che goccia dopo goccia scandisce il tempo ansioso ed opprimente,schiavo di se stesso
L: dal riflesso di uno specchio rotto a pezzi sul pavimento, che riflette la sua immagine e acceca mille volte, tante quanti i frammenti che sono lì, fermi a guardarci
F: illuso dalla vita non si accorge di essere già morto, ologramma inconsistente nella forma e nel contenuto...cosa ne resta?
L: ne resta la cenere, calda e fastidiosa, ne resta il ricordo insistente che non vuole andare via, che non sai mandare via. E intanto lui, già morto nella sua luce, continua a sorgere fra le sue braci e a morire ogni sera, una e una volta ancora. Cosa ne resta mi chiedi? Nel suo carbone resta la sua ostinazione, nel freddo che lo circorda resta la sua presenza ingombrante e fiera; resta il mio e il tuo sole, ora e sempre. Ecco cosa resta.
F: resta solo un ricordo che nel tempo diventerà sempre più labile, fino a che un sole nuovo prenderà il suo posto. Resta l'illusione dell'eterno, il vaneggio dell'assoluto, quando in realtà ce stiamo già dimenticando
L: Ma il nuovo sole morirà a sua volta, di nuovo e di nuovo ancora, e noi vedremo il declino di millanta tramonti prima che giunga il nostro. Perciò ricorda, stella del mattino, che il primo e l'ultimo sole non sono poi così diversi a vederli da vicino; perciò ricorda, o Venere, fa che il ricordo non ti lasci, non lo abbandonare mai. C'è anche l'anima tua in quella sua luce che vuoi ostinatamente dimenticare
F: solo nella totale rimozione la sua anima trova la pace
L: e allora povero, povero sole. Canterò per lui quando non vedrò più la sua luce, fra le tenebre in cui mi lascerà. Sarà un canto lugubre, salato dalle mie lacrime. Spero che sarai lì a farmi compagnia
F: più probabilmente starò dormendo sotto le ceneri del suo ricordo
L: il manto caldo del suo ricordo abbraccerà anche me mentre canto, dopo il suo calore tutto sarà più freddo. E fra il ghiaccio alzerò le mani al cielo nero, quel cielo senza più sole immerso nella sua notte eterna. Aspettando la nuova alba.


io adoro questa ragazza.

domenica 30 maggio 2010

Senza luce

Guardo l'orizzonte e cammino, cammino verso quell'oro così lontano.
Sono pieno d'ogni sua venatura, d'ogni sfumatura che crepita dentro i miei occhi stanchi; corro, corro verso quel cielo così distante.
Ma lui va via, più veloce del passo celere: quant'è più piccolo, ora, il mio orizzonte.
Mi diranno girati, cosa t'importa di quel dettaglio: il mondo può essere tuo, basta voltarsi per osservarlo. Mi diranno lasciali quei colori, lascia quello spettacolo al suo finire, alla sua decadenza; qui l'universo ti reclama a gran voce.
Mi urleranno smetti di ascoltare l'assolo di quel tramonto perché l'orchestra intera suonerà per te, solo per te, se lo vorrai.
Ma voi, saggi consiglieri di parole vuote, voi non potete capire; in quell'orizzonte c'era il mio sole, c'è sempre stato: ma ora che si dissolve, che muore mentre gli corro incontro e piango, ora il vostro universo è rimasto senza più luce.

martedì 25 maggio 2010

A fuoco spento

La rabbia era fuoco vivo nelle mie mani, bruciava tutto attorno a me; mi sentivo pericoloso, e probabilmente lo ero davvero.
Gli occhi scrutavano il paesaggio, le facce spente, il passo lento; il senso che cercavo non c'era, o forse non lo vedevo. Dicono che l'ira acceca l'uomo, è fin troppo vero: polvere e scintille di un incendio indomito sono nebbia ardente che non fa vedere.
Ma la fiamma poi si abbassa, il vento dei pensieri neri tace dopo alcune ore: ed ora è brace, non emana più quel calore. I muscoli tesi si sono rilassati, il corpo non è pronto più all'azione immediata: ho domato il divampare della rabbia.
Ora resta la consapevolezza, furia e passione sono assopite.
Il mio cuore è triste.

lunedì 24 maggio 2010

Mah

Osservo il mondo e non mi piace; non mi piace più. Lo smog mi fa tossire, non respiro, e la sigaretta che ho fra le dita di certo non aiuta. Mi bruciano gli occhi, non vedo nella nebbia tossica che mi avvolge; e io abito in campagna, lontano dal traffico che soffoca il mio povero pianeta.
Bevo birra che mi gonfierà lo stomaco e il fegato, nelle mie vene c'è alcool puro al 90%: ma continuo a sorseggiare, sono tranquillo nel mio inferno di fumo.
E' da poco che vivo, chiuso in questa teca di cristallo, sporca e piena d'ingiustizie: ma l'universo è gentile con me, sono un suo figlio, e mi regala vizi fatti a mia misura, mi dona la possibilità di non pensare.
Do fuoco alla miccia collegata al detonatore che ho in bocca, lo sento esplodere dietro le gengive, ha un retrogusto tagliente, ma molto dolce. Aspiro forte, i polmoni non gradiscono in realtà: ma il cervello appaga le sue pene; il mondo è meno sporco, la nebbia che ho davanti sembra meno tossica, sono quasi felice di esserci in tutto questo lerciume.
Ma ciò che è nato immondizia, immondizia rimane.

venerdì 21 maggio 2010

Senza sensi

Lascio le quattro vie della realtà sul comodino mentre mi sveglio, arranco informe fra le sensazioni vuote.
Plasmo idee di creta che si frantuma, polvere e aceto per le iridi irritate; la vista non è più senso.
Tocco gli oggetti che non vedo, le forme mutano nel divenire dello spazio astratto. Un'altra via è morta nel dinamismo del contatto; non ho più tatto.
Ascolto il silenzio del nulla che mi si para innanzi, cerco di percepire il tempo nello scorrere dei battiti. Ma oltre il respiro di ciò che ho dentro, al centro, non assimilo nulla se non il mondo spento; ormai nemmeno sento.
Ma assaporo l'esistenza, mi nutro della sua linfa per trarne forza per la mia vita; eppure crolla l'ultimo senso, l'ultimo fregio d'umanità che mi spingeva ancora a lottare.
Ma è solo un attimo, tutto torna normale; io, gli altri, il mondo: è un secondo dall'altra parte, nell'annullamento dell'io nel cosmo.

giovedì 20 maggio 2010

Fomento

Adrenalinico energia in particelle dal flusso continuo che a cascata sfonda la diga della mia pelle sono aperto da dentro squartato dal ventre alla fronte la fonte della forza ha trovato nuova sede nel mio petto divaricato e luminoso mi sento pericoloso mi sento oltre l'umana condizione sento di essere ora dall'altra parte sono fascio di luce selvaggia rompo la parete non mi rifletto nello specchio morto che mi proponi io sono movimento incessante non mi rinchiudi fra le tue inutili mani!





La musica accelera l'anima, la lingua, la mente. Io seguo solo il ritmo veloce; mi sento vivo.

martedì 18 maggio 2010

Disimparo quello che ho imparato per salire [cit.]

Non ho capito nulla di quello che mi circonda, scrivo lettere ma è sangue che non ha più senso: il pensiero denso fra le tempie ristagna e affiora, dal lago della mia mente, la figura torbida del mio carnefice.
E' flusso di parole contaminate dal greggio lurido sulle mie labbra; bevo alla fonte della rabbia che incendia il mare della mia coscienza.
La conoscenza è sola, rabbrividisce nel freddo inchiostro di una penna a sfera, di una tastiera rotta che si ostina a raccontare storie che nessuno vuole più sentire.
Disimparo, perché ho ancora troppo da imparare.

lunedì 17 maggio 2010

Noia

Noia esistenziale che ti assale, onda anomala sulla tua pelle.
L'occhio scruta il paesaggio, disarticola i frammenti che non sa più ricomporre, bagna d'argento le fila calde dell'umanità nell'attesa dell'eterno; è il fermo immagine del movimento. Stillicidio dell'anima stanca, la noia travolge il mondo, è epidemia incontrollata: rende la verità menzogna, santi i demoni, nasconde il suo volto fra le gente che conosci meglio.
E' cacciatrice; rincorre la sua preda fino allo stremo, la riduce a larva, l'annienta nella nullità della sua stessa essenza: ti uccide con il freddo metallo della sua rete, ti cattura come una lepre. La sua prigione ti sarà la tua libertà, le sbarre fatte d'aria leggera, il sole abbonderà nella tua cella; ma il pensiero imprigionato sanguinerà fino a perire.
E la morte del pensiero è la morte di tutti noi.

domenica 16 maggio 2010

Eppure è così

Eppure mi sembrava di aver commesso delitto nel guardarla, come se avessi rubato dal suo viso la bellezza di quell'attimo di splendore.
Mi ero nascosto fra l'aria torbida del suo profumo e piano, sinuoso come un serpente, il mio sguardo aveva rapito la fiamma ardente dei suoi occhi che, quasi magicamente, si volgevano proprio verso di me. Non volevo crederci, mi sembrava così strano che tanto potesse essere concesso all'anima mia in pena che, desiderosa d'amore, bramava le sue lacrime di passione e di stanchezza, le perle delle sue mani e la luce del suo sorriso.
Non me ne ero accorto, non al momento perlomeno, ma in realtà ero appena risorto.

C'è la musica e io ballo

Mi sento un idiota e probabilmente lo sono, non so neanche perché ve lo sto raccontando; ma ascolto questa musica e non mi riesco a contenere, devo ballare.
Devono ballare le mie dita, le mie braccia, le mie gambe. Ballano i miei pensieri e le mie parole, non riesco a stare fermo, la sedia è il mio palcoscenico e io, perdio, sto saltando.
Non sono solo note, non è solo suono che si espande nella stanza vuota, non sono solo echi né parole nuove. E' la musica dell'io, sarà quella del mio inconscio probabilmente, ma mi ha rapito col suo ritmo: tribale.
Non la potete sentire, non è lì con voi come lo è qui con me e, vi giuro, piango per voi. Piango perché mi rendo conto di impazzire per tutto questo, è fantastico.
Oddio, non riesco nemmeno più a scrivere... devo ballare, devo ballare!

Se sono solo.

Nel vento, nel mare, nella luce del sole; mi succede solo se sono solo.

E mi succede solo se sono solo, niente
è reale di quel che vedo
e, giuro, non sono folle mentre lo dico, lucido,
calmo, com'è adesso il mio pensiero

sento, e ciò che sento stride
con la realtà che mi si para schietta
innanzi; la mia mente gioca e quasi ride
delle impressioni di cui mi nutro, avanzi;

vita vissuta, ferma in un attimo di quiete, sete
di eterno impedisce ch'io mi rialzi;
corro nel fermo senza mai muovere piede, lento
e risulto, indistinto, unito nell'insieme con le sue parti

e divento uno, tassello confuso nel resto
di tutto, non trovo il senso di tutto questo;
diverso e uguale, non resta che il buio pesto,
incesto orrendo della mia mente con il reale.

Suono

Avete mai ascoltato il vento? Stasera è qui con me e ve lo voglio raccontare.
E' fra le foglie degli alberi del mio giardino, è al di la della strada, nel silenzio; è il più grande musicista dell'immenso e ora suona una melodia che spacca l'anima. Sul palcoscenico del mondo è solo ed è sovrano, urla come un folle parole e suoni che credevo non esistessero nemmeno.
Gioca, perché è bambino; scompare fra i rumori delle macchine raminghe che si ostinano a passare, ma è solo un attimo, la sua musica è padrona di ogni cosa. Tace, ma il suo è un crescendo muto che inizia quando pensi che abbia finito: gli archi, gli ottoni, i fiati.
Il vento è orchestra, è direttore, e io, spettatore, sono strumento di questo artista: i miei polmoni, pieni dei suoi suoni, casse di risonanza, il mio cuore percussione del ritmo lento, lentissimo, che accompagna la sua canzone dell'esistenza.
Il vento è immerso in ogni cosa, ci racconta di ogni cosa.

sabato 15 maggio 2010

Vernice

La vita. Nel suo susseguirsi d'attimi e di pause, nel suo rincorrersi tra fretta e abitudine, persa nel limbo dimenticato dell'esuberanza infantile, è chiusa in tutta la sua bellezza in una semplice, banale, tavolozza in cui regna sovrano il colore.
Questo, purtroppo, l'ho scoperto da veramente troppo poco.
Ho sempre pensato che gli angoli scuri ai bordi del quadro fossero in realtà l'unica cosa che ci fosse da vedere, l'unica degna di nota; davo importanza al grande evento, grigio, spento perché troppo grande, troppo al di la della comune coscienza, troppo anche per la mia comprensione.
E poi un giorno di un mese in un anno che non ricordo, durante una stagione dorata, senza volerlo e senza aspettarlo, ho scoperto il verde, l'azzurro, il bianco, il rosso: ho scoperto i colori, ho scoperto le immagini, ho scoperto la vita.
Ho scoperto le sue sfumature... e da allora vivo solo di quelle.

Balla musa!

A volte la musica è più che un piacere... è fonte d'ispirazione!

Balla al chiaro e ristagna,
bagno di suono piano
il flauto disarticola e ridà
canto allegro e sereno
sia al di qua sia al di là;
felicità che spezza
gambe in movimento lento,
il petto arcano e gonfio
è trionfo del ballo;
lo sento, questa è serenità!

Balla o musa, balla
movenze al ritmo forte
di natura antica e civiltà
bastona e ridona il ventre
caldo e asciutto;
passi lenti e sentimenti
questa è mistica bontà!

La schiena sciolta,
oro colato sulla giuntura;
la natura per sua natura
muta al suono,
perchè ne ha paura;
chiedo e mi risponde,
taccio e non mi parla,
sono sponde del mare e perla
dove le onde stanche sono dalla cassa;
è risonanza!

Balla musa, balla!

L'ingranaggio

Movenze di una macchina che s'inceppa.

La mia vita è un'istantanea.

Si è fermato, non cammina
l'ingranaggio
che dava vita al suono;
fra le mie dita ancora vita,
è qui,
e strilla.

Si è spento, non brilla
l'ingranaggio
che dava luce al passo storto;
fra le mie mani ancora vita,
è ancora piena,
e strilla.

E' muto, non parla
l'ingranaggio
che raccontava la mia vista;
fra le mie labbra ancora vita,
finisce e ricomincia,
e strilla.

Urla al vuoto,
urla al disumano che cresce
e perisce nel pensiero,
svuota l'anima nel vero;
lode al senso per cui si nasce.

La mia vita è un'istantanea.

Angoscia

La vita è percezione dell'universo, dell'universo al di fuori di me, della sua simbiosi con il mio essere. L'immensamente grande entra nell'anima a volte e, se succede, spaventa. Questa è la mia angoscia.

Le parole si cancellano
e il vento porta via la voce;
i gesti muoiono nella giornata
e la memoria fa perdere le sue tracce,
restano sensazioni vuote.

Dove
il mio pensiero s'articola
e si rinnova
nella realtà?

Dove ogni momento è perso
e il singolo significato cade,
ora,
nel nulla di queste foglie morte.

Le mani si fanno aria
e le braccia sempre più leggere;
scendo io o è l'universo che risale?
c'è distinzione fra quel che sento
e quel che appare.

Trame sono le mie dita,
gioco di fili le mie gambe:
rete d'anelli il petto vuoto
biglia d'acqua fredda l'occhio,
spento della sua luce,
vacuo.

Angoscia nella mia mente
che ristagna,
gocce torbide e parole
nell'inverno mio perenne.

Altro da me.

E' solo una sensazione in fondo, e alle sensazioni non bisogna dar peso; almeno fin quando queste non diventano la tua vita.

M'hanno detto che arriverà da solo,
che sarà un fulmine a ciel sereno;
ma il mio è pieno solo di nubi d'oro che tacciono
un silenzio di cui potrei fare a meno

sembra una maledizione l'anatema
che rimane e non si consuma, che ritaglia lo spazio vuoto
che in me, vedo bianco come la luna

alieno io al mondo che si fortifica,
il pensiero non scalfisce la dura scorza,
pianifica l'azione ma la mia carne crepita
sotto il rigurgito del sentimento dov'è pura forza.


ed è lì che riconosco il calore
di qualcosa che non m'appartiene,
ch'è altro da me.

Apro il Blog

Blog. E' un mezzo di comunicazione, è una pagina immaginaria di parole reali che io dono a te, che ti regalo. Accettalo ti prego, mi farai felice. Le esperienze muoiono fra le sillabe in intreccio, ma rinasce la vita fra frasi sconnesse a cui tu dovrai dare un senso; il tuo senso. Non esisto io, non esisti nemmeno tu: esiste l'altra parte di noi, esiste l'altra parte del mondo, esiste l'altro da me e da te. Guarda il cielo, è lontano. Ma tu sei cielo quanto io sono nuvola. Percorriamo questo breve tratto insieme, la vita ci renderà grazie.