domenica 13 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 3)

Di fronte a me si presentava orgoglioso un lungo viale alberato, ma della vitalità di cui solitamente brulicano questi luoghi, in realtà non ve n'era un granchè; a dir la verità non ne rimaneva molta neanche negl'alberi stessi. L'autunno si era fatto sentire con tutta la sua forza in quei giorni, ed evidentemente quelle povere piante non dovevano aver retto il duro colpo, dato lo stato in cui si trovavano.
Rami un tempo rigogliosi e pieni di vita ora erano solo sottili fili nella trama del vento gelido, e poche foglie raminghe ancora resistevano in quei deserti di legno. Non era uno spettacolo particolarmente gratificante, ma non ci feci caso in un primo momento, lo stomaco reclamava tutta la mia attenzione e io non ero in grado di negargliela. Come un animale nato dal niente, la mia mente ora focalizzava tutta la sua attenzione sul vuoto fastidioso che assediava la mia pancia, mi spingeva a camminare, intontito dalla fame, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Ed ecco la visione: 100 metri più in la, circondato da un'aurea luce, il mio punto di ristoro, la cosa che ora mi interessava di più e senza la quale sentivo di non essere completo; un negozio di alimentari. In realtà nn era che una squallida bottega malconcia seminascosta fra i palazzi, ma il bisogno la rendeva irresistibile ai miei occhi. Un passo, due passi, tre passi; la distanza aumentava allo stesso ritmo del brontolio che avvertivo nelle viscere ed era insopportabile il pensiero che tutto il ben di dio conservato in quei scaffali non era ancora mio. Ma in secondo tutto si era dissolto; il bisogno, la fame, il camminare non esistevano più: ero arrivato di fronte alla vetrina, e quella visione eterea fatta di cibarie soggiogava i miei sensi.
Ritornato alla realtà, ancora stordito dal torpore in cui ero caduto, con mano incerta aprii la porta, quasi dovessi entrare in un luogo arcano e proibito. Inspiravo profondamente; un odore di salumi e formaggio inebriava il mio olfatto; in quel banchetto di sapori i miei sensi ci sguazzavano abbastanza felicemente. Avevo bisogno di mangiare, e tutto ciò che mi serviva era a portata di mano in quel momento; ma in pochi attimi mi ero reso conto che in realtà ben poche cose erano a portata di portafoglio. Acquistai comunque qualche pacchetto di patatine, quelle che costavano di meno ovviamente, e una bottiglia d'acqua. Era un pranzo un po' povero, di certo niente a che vedere con quelli a cui ero abituato, ma mi sembrava un convito così abbondante da poterci narrare leggende a riguardo; la fame fa brutti scherzi a volte.
Mi ero seduto sulla panchina vicino al negozio e consumavo felicemente il mio pasto; spenta la voracità famelica, cominciai a riflettere sul come organizzarmi per poter sopravvivere. La prima tappa del mio corso di sopravvivenza era appena terminata: avevo sfamato il mio corpo, ridato vita ai miei processi biologici, ora avevo bisogno di una fonte di guadagno che mi permettesse di continuare a soddisfarli e di un posto dove poter recuperare le mie energie. Sapevo che almeno per quella notte avrei dormito sotto una coperta di stelle, nuvole permettendo, ma il lavoro non era un problema insormontabile; so che lo sfruttamento del bisogno, come del bisognoso, è una caratteristica riprovevole dell'animo umano, ma ora ero più che felice di farmi sfruttare, pur di avere un reddito che mi permettesse di esistere, e possibilmente resistere all'inverno che si prospettava feroce, visto il freddo che già avvertivo allora.
Continuai il mio peregrinare fra i palazzi sconosciuti alla ricerca di una locandina che richiamasse la mia attenzione; non mi importava di che impiego si trattasse, ora volevo solo impegnarmi in qualcosa di nuovo, nuovo per me almeno.

Nessun commento:

Posta un commento