domenica 20 giugno 2010

Donami il sonno delle tue note

Appaga il mare mosso, il vento freddo che sconvolge il mio animo inquieto, rimanda a tempi antichi la conoscenza di questa vita vuota. Musica, canta per me, lenta, la tua melodia soffusa... fammi riposare fra le tue acque chiare, donami il sonno delle tue note.
Riscalda il gelo di queste ossa, rendi a me il tepore delle tue parole, fa che io possa dormire fra i tuoi suoni lenti. Accarezza i miei capelli, le tue dita oltre la nebbia dei miei pensieri... fammi stendere sul tuo corpo lieve, donami il sonno delle tue note.
Ti prego; ti scongiuro musica sacra, donami il sonno, il sonno della tua pace.

lunedì 14 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 4)

Spesi parecchio tempo a girare per questa città ignota senza preoccuparmi di dove stessi andando; non potevo perdermi, non avevo un punto di partenza né una meta, così mi ritrovai a girovagare per tutto il pomeriggio in cerca di qualcosa, di cui sempre più mi convincevo non ci fosse traccia in quel posto. Era strana come sensazione: sentivo che era un passo importante, anche se non riuscivo bene a capire il perchè; era come se ne sentissi il bisogno, oltre al bisogno materiale ovviamente, come una forza che percepivo fondamentale per il mio continuare ad esserci in questo mondo.
Intanto il sole urlava il suo declino e la notte proclamava la sua vittoria con le prime stelle, superbe della loro luce, senza aspettare che l'astro diurno morisse con dignità. In quello scontro fatale le mie forze erano divenute vittime bianche del conflitto, e mi abbandonai sulla prima panchina che mi si parò davanti, in un luogo che quasi mi sembrava familiare, tanto ero stanco.
In realtà non mi ero allontanato da quel parco in cui avevo pranzato, era tutto il giorno che giravo in tondo e, anche se non potevo saperlo, mi ero sdraiato proprio sulla panchina su cui avevo consumato il mio pasto qualche ora prima. Ma non era importante saperlo, né avrebbe potuto cambiare qualcosa: ora che le tenebre vincevano sulla luce e il sonno trionfava sulla veglia, quel freddo legno così poco accogliente era più che soddisfacente per il mio corpo al limite.
Gli ultimi barlumi di lucidità però mi consentivano ancora di stilare un resoconto più o meno dettagliato della giornata appena volta al termine, che risultava comunque non del tutto improduttiva; nell'arco di una rotazione terrestre la mia vita risultava ribaltata, ancora piuttosto indefinita e da organizzare ovviamente, ma sicuramente molto diversa da come era fino a 24 ore prima. E questa consapevolezza, questo rendermi conto di essere diventato il reale fautore del mio destino, era accompagnata da una sensazione d'inebriante potenza che quasi mi fece passare il sonno. Ero riuscito a svincolarmi dalle catene del passato e avevo allentato la stretta alla cinghia natia che portavo al ventre; forse stavo andando incontro al mio declino, come un sole al suo ultimo tramonto, o forse no. A dire il vero non m'importava, ne avevo la forza adesso per poter tornare indietro e riappropriarmi delle radici che con tanta fatica avevo reciso.
Il sole era scomparso dietro le case e il buio ora cullava i miei sensi; al ritmo di battito lento, sentivo i muscoli rilassarsi, le palpebre calare, la mente offuscarsi. Dicono che dormire sia una delle attività preferite dal genere umano; non so se sia vero, ma quello, vuoi il freddo, la scomodità del legno, o gli accadimenti ultimi della mia vita, fu il sonno più spiacevole di tutta la mia esistenza.
Sognai quella notte, sogni irrequieti d'irrequieto dormire, e probabilmente proprio per questo motivo non riuscii a fissarli nella mente quando mi svegliai. Il sole era appena sorto e i suoi raggi ancora privi di calore illuminavano spavaldi la mia carcassa sdraiata su quel giaciglio ligneo, lo stesso che era stato tanto avverso al mio riposo così desiderato. In pratica ripresi i sensi anche più stanco di quando li persi; eppure non me ne potevo e non volevo lamentare. Seppur il mio corpo gridava con forza il suo bisogno d'un materasso, pur potendomi accontentare in quel momento anche di un cumulo di fieno, la mia mente sembrava risorta a nuova vita. In essa si diramava un intricato e forse poco razionale, data l'ora del mattino, piano d'azione, il quale m'avrebbe portato ad un miglioramento netto rispetto alla situazione in cui mi trovavo.

domenica 13 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 3)

Di fronte a me si presentava orgoglioso un lungo viale alberato, ma della vitalità di cui solitamente brulicano questi luoghi, in realtà non ve n'era un granchè; a dir la verità non ne rimaneva molta neanche negl'alberi stessi. L'autunno si era fatto sentire con tutta la sua forza in quei giorni, ed evidentemente quelle povere piante non dovevano aver retto il duro colpo, dato lo stato in cui si trovavano.
Rami un tempo rigogliosi e pieni di vita ora erano solo sottili fili nella trama del vento gelido, e poche foglie raminghe ancora resistevano in quei deserti di legno. Non era uno spettacolo particolarmente gratificante, ma non ci feci caso in un primo momento, lo stomaco reclamava tutta la mia attenzione e io non ero in grado di negargliela. Come un animale nato dal niente, la mia mente ora focalizzava tutta la sua attenzione sul vuoto fastidioso che assediava la mia pancia, mi spingeva a camminare, intontito dalla fame, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Ed ecco la visione: 100 metri più in la, circondato da un'aurea luce, il mio punto di ristoro, la cosa che ora mi interessava di più e senza la quale sentivo di non essere completo; un negozio di alimentari. In realtà nn era che una squallida bottega malconcia seminascosta fra i palazzi, ma il bisogno la rendeva irresistibile ai miei occhi. Un passo, due passi, tre passi; la distanza aumentava allo stesso ritmo del brontolio che avvertivo nelle viscere ed era insopportabile il pensiero che tutto il ben di dio conservato in quei scaffali non era ancora mio. Ma in secondo tutto si era dissolto; il bisogno, la fame, il camminare non esistevano più: ero arrivato di fronte alla vetrina, e quella visione eterea fatta di cibarie soggiogava i miei sensi.
Ritornato alla realtà, ancora stordito dal torpore in cui ero caduto, con mano incerta aprii la porta, quasi dovessi entrare in un luogo arcano e proibito. Inspiravo profondamente; un odore di salumi e formaggio inebriava il mio olfatto; in quel banchetto di sapori i miei sensi ci sguazzavano abbastanza felicemente. Avevo bisogno di mangiare, e tutto ciò che mi serviva era a portata di mano in quel momento; ma in pochi attimi mi ero reso conto che in realtà ben poche cose erano a portata di portafoglio. Acquistai comunque qualche pacchetto di patatine, quelle che costavano di meno ovviamente, e una bottiglia d'acqua. Era un pranzo un po' povero, di certo niente a che vedere con quelli a cui ero abituato, ma mi sembrava un convito così abbondante da poterci narrare leggende a riguardo; la fame fa brutti scherzi a volte.
Mi ero seduto sulla panchina vicino al negozio e consumavo felicemente il mio pasto; spenta la voracità famelica, cominciai a riflettere sul come organizzarmi per poter sopravvivere. La prima tappa del mio corso di sopravvivenza era appena terminata: avevo sfamato il mio corpo, ridato vita ai miei processi biologici, ora avevo bisogno di una fonte di guadagno che mi permettesse di continuare a soddisfarli e di un posto dove poter recuperare le mie energie. Sapevo che almeno per quella notte avrei dormito sotto una coperta di stelle, nuvole permettendo, ma il lavoro non era un problema insormontabile; so che lo sfruttamento del bisogno, come del bisognoso, è una caratteristica riprovevole dell'animo umano, ma ora ero più che felice di farmi sfruttare, pur di avere un reddito che mi permettesse di esistere, e possibilmente resistere all'inverno che si prospettava feroce, visto il freddo che già avvertivo allora.
Continuai il mio peregrinare fra i palazzi sconosciuti alla ricerca di una locandina che richiamasse la mia attenzione; non mi importava di che impiego si trattasse, ora volevo solo impegnarmi in qualcosa di nuovo, nuovo per me almeno.

venerdì 11 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 2)

Il primo giorno in cui sono arrivato in questa foresta di case, devo ammettere che non mi aspettavo di trovarla così poco accogliente. M'ero fatto un'idea sbagliata della mia prima sensazione, in fondo speravo si trattasse di stupore o al massimo di spaesamento.
Avevo costruito una fortezza d'illusione che a definirla dorata sarebbe un delitto: il sole splendente, la brezza che accarezza il mio volto, sorrisi e fiori ovunque. Avevo avuto troppo tempo nel treno per immaginare ed ero arrivato alla conclusione che il mio viaggio sarebbe terminato con l'approdo a un paradiso terrestre, tra nubi dorate e canti soavi. Maledetta la mia fervida fantasia, sarebbe stata un po' meno amara la mia reazione. Quel che mi ritrovai davanti non era che l'esatta riproduzione di uno squallidissimo purgatorio, del paradiso ovviamente non v'era ombra alcuna. Era tutto così normale, troppo normale rispetto allo straordinario che mi ero figurato. La delusione non l'avevo presa in considerazione affatto nel mio peregrinare fantasioso, e ora bruciava più che mai. Tornavo con la mente alla mia casa, al mio giardino, al paese che avevo abbandonato, alla realtà che avevo deciso di lasciare per rincorrere quel sogno di libertà che avevo costruito intorno al barlume della mia maturità appena sbocciata.
Ma durò poco in realtà, molto meno di quanto si possa immaginare; il mio pensiero si rifiutava di concepire lo sbaglio, o perlomeno la discesa nel baratro del diverso, e scandagliava ogni singolo particolare di quel triste spettacolo che mi si parava davanti per trovare un solo elemento di rivalsa, positivo in qualche modo. E alla fine, deluso, si raggomitolava su se stesso, e finalmente mi lasciava camminare.
Il primo passo è sempre il più importante, ma giuro che quella volta era anche più difficile del solito. La forza repulsiva che mi aveva spinto fin qui ora era scomparsa, toccava a me muovere i passi della nuova vita. Avevo bisogno di un posto dove stare, avevo bisogno di mangiare, bere, dormire... insomma tutte cose che mi avrebbero permesso di restare in vita; poi le mie finanze ormai tendevano ad un rosso allarmante, e tranne per la mancanza della scritta pericolo sul portafoglio, non avevano nulla da invidiare ad una situazione d'emergenza. Non mi lamentavo del mio misero bagaglio: qualche vestito e pochi spiccioli non saranno una fortuna, però per ora mi bastava sapere che potevo sopravvivere con le mie sole forze. Ma ero anche tanto consapevole quanto rassegnato che mi sarei dovuto trovare in ogni caso una sistemazione, possibilmente anche un lavoro, o un semplice qualcosa da fare per poter occupare il mio tempo. La noia uccide da queste parti, e una morte così banale non l'avrei sicuramente sopportata.
Mosso il primo passo comunque, il resto era relativamente semplice; mi ero sempre saputo adattare alle nuove situazioni, e quella in fondo non era che la prima fase del corso di sopravvivenza a cui avevo involontariamente dato vita.

giovedì 10 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 1)

La piccola città di Trimo ora ferve di movimento, come in ogni fresco pomeriggio d'autunno. Qui le macchine corrono come topi in un labirinto, spinte dalla forza invisibile della fretta; le persone non guardano dove camminano, o almeno non se ne curano, sicure che dove vanno c'è la vita ad aspettarli. E io, come loro, non posso fermarmi, ho il destino a tre minuti da qui. Le foglie ingiallite dal tempo che passa non lasciano scampo ai pensieri nostalgici di un'estate passata al mare: c'è ancora salsedine nell'aria, eppure il freddo già gela le ossa.
Mi presento, sono Francesco, giovane di una generazione nata anziana, nuovo cittadino di una città nuova. L'asfalto bagnato emana uno strano odore quando si asciuga al sole, le mie narici ne sono piene; i muri delle case sfrecciano veloci di fianco a me, una giostra di colori e di vetrine. Il passo si allunga, la fretta ha trovato in me la sua nuova vittima, è un appuntamento a cui non posso mancare. Mi guardo intorno mentre penso a cosa dovrò dire al colloquio. Sono solo in questo momento, è così che deve essere, perchè solo il vento freddo può farmi compagnia nella mia giungla umana.
Non è da tanto che sono arrivato, in fondo quattro settimane non sono un tempo reale, ma solo il tempo che mi è stato necessario a realizzare che veramente mi sono trasferito. E' il passaggio tra l'adolescenza e la prima maturità che forse mi ha confuso: ma il cambiamento era necessario, dovevo allontanarmi dal luogo natio, tanto amato. Mamma ancora piange, le sento sulla mia pelle le sue lacrime. Ma non mi pento di ciò che ho fatto; avevo bisogno di quest'altra aria, di quest'altro ossigeno per la mia vita imbalsamata, di nuova energia al mio corpo stanco. E intanto continuo a camminare, anche se la mia meta, quel luogo in cui so di sentirmi così poco a mio agio, non sembra avvicinarsi con la stessa celerità del mio passo. Sarà che penso, ed il tempo non passa; sarà che osservo, e le immagini rallentano il deflusso dei secondi nella mia mente; sarà che in fondo non voglio avere quest'opportunità. E' un istante, e mi rendo conto che il volto riflesso nella pozzanghera non richiama quella felicità in cui tanto speravo: il sorriso spento sulla mie labbra è grigio, ed è pallido lo sguardo vuotato della vita in cui si riflettono i miei occhi. So che non la voglio questa nuova realtà, non mi appartiene; ma sono consapevole di averne bisogno, ed è solo per questo che continuo a camminare.

martedì 8 giugno 2010

L'altra parte della luna nuova

Sono lontano, lontano da ciò che fin'ora era stato essenza fondamentale della mia esistenza.
Sempre più mi soffermo a riflettere su ciò che è stato, non della mia persona, bensì della vita altrui.
Ho vent'anni o giù di lì e la mia consapevolezza, incastonata nella parete porosa dei miei ricordi, non risale che a qualche attimo fa, o poco prima... oltre il muro, oltre questa parete, c'è solo oblio, qualche flash di pensieri antichi.
Ma null'altro, niente che possa dirmi o confermare la mia presenza in questo mondo di nebbie e ombre, nulla che mi racconti di ciò che è stato e non sarà mai più.
C'è chi aveva vent'anni, vent'anni fa; c'era chi soffriva, quaranta anni prima che io nascessi, c'era chi amava solo un secolo prima che io respirassi.
E loro? La loro vita va ben oltre il mio tempo, i loro pensieri sono altrove, nel passato, molto prima che io pensassi, dall'altra parte della luna piena.
Questo; il loro passato, il mio presente, il tuo futuro... è altro da me e da te e da noi.
Questo è l'altra parte della luna nuova.