lunedì 14 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 4)

Spesi parecchio tempo a girare per questa città ignota senza preoccuparmi di dove stessi andando; non potevo perdermi, non avevo un punto di partenza né una meta, così mi ritrovai a girovagare per tutto il pomeriggio in cerca di qualcosa, di cui sempre più mi convincevo non ci fosse traccia in quel posto. Era strana come sensazione: sentivo che era un passo importante, anche se non riuscivo bene a capire il perchè; era come se ne sentissi il bisogno, oltre al bisogno materiale ovviamente, come una forza che percepivo fondamentale per il mio continuare ad esserci in questo mondo.
Intanto il sole urlava il suo declino e la notte proclamava la sua vittoria con le prime stelle, superbe della loro luce, senza aspettare che l'astro diurno morisse con dignità. In quello scontro fatale le mie forze erano divenute vittime bianche del conflitto, e mi abbandonai sulla prima panchina che mi si parò davanti, in un luogo che quasi mi sembrava familiare, tanto ero stanco.
In realtà non mi ero allontanato da quel parco in cui avevo pranzato, era tutto il giorno che giravo in tondo e, anche se non potevo saperlo, mi ero sdraiato proprio sulla panchina su cui avevo consumato il mio pasto qualche ora prima. Ma non era importante saperlo, né avrebbe potuto cambiare qualcosa: ora che le tenebre vincevano sulla luce e il sonno trionfava sulla veglia, quel freddo legno così poco accogliente era più che soddisfacente per il mio corpo al limite.
Gli ultimi barlumi di lucidità però mi consentivano ancora di stilare un resoconto più o meno dettagliato della giornata appena volta al termine, che risultava comunque non del tutto improduttiva; nell'arco di una rotazione terrestre la mia vita risultava ribaltata, ancora piuttosto indefinita e da organizzare ovviamente, ma sicuramente molto diversa da come era fino a 24 ore prima. E questa consapevolezza, questo rendermi conto di essere diventato il reale fautore del mio destino, era accompagnata da una sensazione d'inebriante potenza che quasi mi fece passare il sonno. Ero riuscito a svincolarmi dalle catene del passato e avevo allentato la stretta alla cinghia natia che portavo al ventre; forse stavo andando incontro al mio declino, come un sole al suo ultimo tramonto, o forse no. A dire il vero non m'importava, ne avevo la forza adesso per poter tornare indietro e riappropriarmi delle radici che con tanta fatica avevo reciso.
Il sole era scomparso dietro le case e il buio ora cullava i miei sensi; al ritmo di battito lento, sentivo i muscoli rilassarsi, le palpebre calare, la mente offuscarsi. Dicono che dormire sia una delle attività preferite dal genere umano; non so se sia vero, ma quello, vuoi il freddo, la scomodità del legno, o gli accadimenti ultimi della mia vita, fu il sonno più spiacevole di tutta la mia esistenza.
Sognai quella notte, sogni irrequieti d'irrequieto dormire, e probabilmente proprio per questo motivo non riuscii a fissarli nella mente quando mi svegliai. Il sole era appena sorto e i suoi raggi ancora privi di calore illuminavano spavaldi la mia carcassa sdraiata su quel giaciglio ligneo, lo stesso che era stato tanto avverso al mio riposo così desiderato. In pratica ripresi i sensi anche più stanco di quando li persi; eppure non me ne potevo e non volevo lamentare. Seppur il mio corpo gridava con forza il suo bisogno d'un materasso, pur potendomi accontentare in quel momento anche di un cumulo di fieno, la mia mente sembrava risorta a nuova vita. In essa si diramava un intricato e forse poco razionale, data l'ora del mattino, piano d'azione, il quale m'avrebbe portato ad un miglioramento netto rispetto alla situazione in cui mi trovavo.

Nessun commento:

Posta un commento