giovedì 10 giugno 2010

Da Trimo in poi. (Parte 1)

La piccola città di Trimo ora ferve di movimento, come in ogni fresco pomeriggio d'autunno. Qui le macchine corrono come topi in un labirinto, spinte dalla forza invisibile della fretta; le persone non guardano dove camminano, o almeno non se ne curano, sicure che dove vanno c'è la vita ad aspettarli. E io, come loro, non posso fermarmi, ho il destino a tre minuti da qui. Le foglie ingiallite dal tempo che passa non lasciano scampo ai pensieri nostalgici di un'estate passata al mare: c'è ancora salsedine nell'aria, eppure il freddo già gela le ossa.
Mi presento, sono Francesco, giovane di una generazione nata anziana, nuovo cittadino di una città nuova. L'asfalto bagnato emana uno strano odore quando si asciuga al sole, le mie narici ne sono piene; i muri delle case sfrecciano veloci di fianco a me, una giostra di colori e di vetrine. Il passo si allunga, la fretta ha trovato in me la sua nuova vittima, è un appuntamento a cui non posso mancare. Mi guardo intorno mentre penso a cosa dovrò dire al colloquio. Sono solo in questo momento, è così che deve essere, perchè solo il vento freddo può farmi compagnia nella mia giungla umana.
Non è da tanto che sono arrivato, in fondo quattro settimane non sono un tempo reale, ma solo il tempo che mi è stato necessario a realizzare che veramente mi sono trasferito. E' il passaggio tra l'adolescenza e la prima maturità che forse mi ha confuso: ma il cambiamento era necessario, dovevo allontanarmi dal luogo natio, tanto amato. Mamma ancora piange, le sento sulla mia pelle le sue lacrime. Ma non mi pento di ciò che ho fatto; avevo bisogno di quest'altra aria, di quest'altro ossigeno per la mia vita imbalsamata, di nuova energia al mio corpo stanco. E intanto continuo a camminare, anche se la mia meta, quel luogo in cui so di sentirmi così poco a mio agio, non sembra avvicinarsi con la stessa celerità del mio passo. Sarà che penso, ed il tempo non passa; sarà che osservo, e le immagini rallentano il deflusso dei secondi nella mia mente; sarà che in fondo non voglio avere quest'opportunità. E' un istante, e mi rendo conto che il volto riflesso nella pozzanghera non richiama quella felicità in cui tanto speravo: il sorriso spento sulla mie labbra è grigio, ed è pallido lo sguardo vuotato della vita in cui si riflettono i miei occhi. So che non la voglio questa nuova realtà, non mi appartiene; ma sono consapevole di averne bisogno, ed è solo per questo che continuo a camminare.

1 commento:

  1. è vero c'è differenza tra volere e avere bisogno di qualcosa e a volte le due cose sono in parziale conflitto.
    Hai riportato una descrizione molto particolareggiata delle tue emozioni... nel leggerla sembra quasi di essere lì con te, ogni profumo, ogni sensazione è riportato in maniera molto vivida e delicata^^
    Alice

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